Una domanda mi accompagna da quando ho finito di leggere questo libro (UOMINI E TOPI di John Steinbeck): ma l’affetto, l’amore, fino a che punto si possono definire tali? C’è un limite che giustifica le azioni compiute sotto la spinta di un sentimento? Si può uccidere perché si vuole troppo bene, per pietà di chi ci cammina di fianco nel corso della vita e così caricarsi di un fardello pesante e doloroso che fa affondare la possibilità di guardare ad un futuro?
Ho sempre pensato di no e lo penso ancora. Ma la storia dei due protagonisti di questo romanzo, George piccolo e dall’intelligenza vivace e del suo compagno di viaggio Lennie, fisicamente imponente e forte ma sprovveduto come un bimbo, ci accompagna in un mondo dove il confine del rigore etico vacilla.
E Lennie con George si sente al sicuro “Perché … perché ci sei tu che pensi a me e ci sono io che penso a te, ecco perché” e perché hanno un sogno insieme: “Un giorno … avremo messo insieme i soldi e ci sarà una casetta con un pezzo di terreno e una mucca e i maiali e …” “E vivremo del grasso della terra … e terremo i conigli.”
Un sogno, un sogno che coinvolge i più disperati che i nostri incontrano nel ranch dove vanno a lavorare per guadagnare i soldi che permetteranno loro di realizzarlo. Una sorta di forza che spinge i più disperati a unirsi per sperare in un futuro migliore insieme.
A questo breve romanzo di forte impatto ambientato nella California rurale della Grande Depressione, Steinbeck, quasi come presagio, dà il titolo “Uomini e topi” riprendendo un verso del poeta scozzese Robert Burns (1759-96) a significare che spesso nessuno riesce a realizzare i propri progetti, né gli uomini, ne tantomeno i topi.
Una descrizione di un America prostrata dalla depressione ma attraverso le vicende dei protagonisti una
riflessione sull’imprevedibilità dell’esistenza.
Un bel libro col must della traduzione di Pavese