Tanto tempo fa, in un lontano reame, viveva un bellissimo Principe. Un giorno, chissà come, chissà perché, gli venne il desiderio di andare sulla Luna. Il Re suo padre era molto preoccupato perché sapeva che nessuno, né uomo, né mago, avrebbe potuto aiutarlo a realizzare questo desiderio. Anche il Principe se ne rendeva conto e diventava sempre più triste. A nulla servivano le feste e le cacce che il Re organizzava in suo onore per distrarlo. Il suo desiderio si faceva sempre più forte e iniziò ad ammalarsi. Così, consultati i medici, il Principe partì per trascorrere qualche tempo sulle Dolomiti con la speranza di trarre giovamento da quella pace e da quell’aria.
Un giorno, durante una battuta di caccia, si perse nel bosco e poiché la notte stava calando, cercò una radura, si sdraiò fra i rododendri e si addormentò. Sognò un bellissimo palazzo, tutto bianco e una fanciulla meravigliosa alla quale porgeva in dono un mazzo di fiori purpurei. A questo punto si svegliò. Ormai la fanciulla gli era entrata nel cuore e decise di trovarla per farne la sua sposa. Raccolse un mazzo di rododendri e partì alla sua ricerca.
Cavalcò senza perdersi d’animo e cominciò a salire il monte. Nei pressi della vetta incontrò due vecchi con una lunga barba candida. Erano i ministri del Re della Luna che gli proposero di portarlo lassù. Il Principe accettò subito e in men che non si dica si ritrovò in un meraviglioso giardino dove tutto era bianco: la terra, i fiori, gli alberi. Guidato dai due vecchi, fu condotto al palazzo reale dove incontrò il Re in persona e sua figlia, la Principessa del suo sogno.
Al cospetto della Principessa, commosso, il giovane Principe si inginocchiò. Le donò il mazzo di rododendri che aveva raccolto nella radura e le confessò di averla già vista nel sogno più bello che avesse mai fatto. I due giovani si innamorarono subito e dopo pochi giorni erano già sposi e ridiscesero sulla Terra.
Ben presto però la fanciulla lunare iniziò a deperire a vista d’occhio. Le cime cupe e inquietanti che di notte si confondevano con le tenebre e la nostalgia del suo paese le causarono una malinconia talmente profonda da farla ammalare gravemente e, a malincuore, la riportò sulla Luna. Non riuscendo a separarsi da lei, il Principe decise di andare a vivere lassù con lei ma, dopo qualche tempo, si accorse che, a causa dell’intensa luce della Luna, stava perdendo la vista e dovette far ritorno sulla Terra.
Il pensiero della sua amata lontana, però, non lo abbandonava mai e un bel giorno, durante una partita di caccia, sorpreso da un brutto temporale si riparò in una caverna. Qui incontrò uno strano omino tutto vestito di rosso con una lunga barba bianca. In rappresentanza del suo popolo perseguitato dagli uomini che volevano impadronirsi dell’oro della Terra, il nanetto gli fece una proposta: in cambio di ospitalità e protezione nel suo regno per la sua gente, avrebbe raccolto i raggi della Luna per tesserli tutto attorno a quei monti in modo che potessero risplendere della stessa luce del paese della sua sposa.
Il Principe ascoltò con meraviglia la proposta e accettò felice. Così, un esercito di nanetti invase il reame e si radunò ai piedi delle Dolomiti. Vi si arrampicarono, colsero uno a uno i raggi della Luna e li intrecciarono, come fossero fili di seta scintillanti, intorno alle guglie e i pendii fino a farli apparire d’argento.
Allora il Principe andò a prendere la sua sposa e visse per sempre felice con lei sulle Dolomiti che ormai tutti chiamavano “i monti Pallidi”.
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Questa è la leggenda da cui trae origine il nome “monti Pallidi” con cui le Dolomiti oggi sono conosciute. La pietra dolomia che le compone, infatti, le fa apparire candide e luminose anche nelle notti senza luna e le loro bianche pareti e le cime aguzze risplendono nel buio quasi di luce propria.
Si dice che in ogni leggenda ci sia un fondo di verità, che le leggende siano un mezzo per spiegare l’incomprensibile, rendere il banale interessante, mantenere viva la memoria di luoghi ed eventi.
Tutto vero ma ciò che più affascina di queste “fiabe”, come di molte altre leggende trentine, è la magia del genere popolare che più di altri veniva raccontato per le vie e per le piazze, la magia del gioco della memoria, del pensiero e dell’immaginazione di chi ricorda e tramanda affiancando situazioni reali e immaginarie che finiscono per cristallizzarsi nella tradizione locale.
Leggere le leggende del Trentino è un modo straordinario per entrare in contatto con il mitico mondo della montagna, con le sue valli, le sue contrade, la sua comunità. E’ come ascoltare dalla viva voce dei suoi abitanti i racconti fantastici tramandati di generazione in generazione che narrano le origini, le vicende, la storia di un popolo, che stupiscono, fanno divertire ma anche sognare.
D’altra parte guardando queste montagne, frequentando le sue cime, sciando sui suoi pendii, passeggiando nei suoi boschi, lungo i suoi corsi d’acqua e gli anfratti rocciosi, non è certo difficile riconoscere il regno incantato descritto nelle sue leggende e farsi rapire dalla sua magia.
E dal regno incantato alle creature fantastiche e misteriose che un tempo si pensava lo abitassero (re, principi, principesse, fate, gnomi, streghe, ondine), se lo volete, il passo è breve. D’altra parte, la verità è per ciascuno come a lui pare … commediava Luigi Pirandello.