maria-luigiaNon sono ravioli. Non sono tortellini. E nemmeno cappelletti. Sono emiliani, ma non di Bologna e non di Modena. Di nobile stirpe, arrivano dal Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, si chiamano anolini e fanno parte dell’orgoglio gastronomico parmigiano. Un piatto ricco e antico. Probabilmente ne sarà stata ghiotta anche l’amata duchessa, Maria Luisa Leopoldina Francesca Teresa Giuseppa Lucia d’Asburgo-Lorena, seconda moglie di Napoleone, ma soprattutto figlia dell’imperatore d’Austria, alla quale, dopo Waterloo, il Congresso di Vienna aveva donato il Ducato come risarcimento per averle spedito il marito in capo al mondo. Piccolo appunto storico: appena arrivata a Parma, l’ex-imperatrice cambiò intelligentemente il suo nome in un italianissimo Maria Luigia, conquistando così il cuore del suo nuovo popolo che la battezzò “la buona duchessa”.

Tornando agli anolini: serviti in un saporito brodo di manzo e cappone, sono, a Parma, il piatto tipico della cena di Natale. E, in un certo senso, fanno anche piatto unico, perché il manzo e il cappone, dopo aver generato un brodo che è una bomba calorica, si trasformano armoniosamente in un piatto di lesso sopraffino, accompagnato da mostarda piccante e salsa verde. D’altra parte, nessun menu natalizio è famoso per essere dietetico.

La ricetta degli anolini è abbastanza impegnativa e, soprattutto, porta via tempo. Prima per fare il ripieno e, poi, per ritagliarli nella pasta sfoglia. Mia nonna, e anche mia madre, li preparavano il giorno prima della Vigilia, il 23, e li stendevano ad asciugare in un luogo fresco, su un telo spolverato di semola di grano duro e ricoperti da un altro telo leggero. Io, nipote, volendo evitare lo stress degli ultimi giorni prima del Natale, li confeziono intorno a metà mese e poi li surgelo, bene allineati e contati, su larghi vassoi di cartone ricoperti con carta da forno cosparsa di semola di grano duro. Dopo un paio di giorni, li suddivido in appositi sacchetti di plastica, infilando in ogni sacchetto un foglio con il numero di anolini contenuti. Questo per cuocerne il numero giusto, visto che, a testa se ne calcolano dai 20 ai 30.

GLI ANOLINI IN 3 FASI: IL RIPIENO, LA SFOGLIA, LE REGOLE

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Fase 1. Il ripieno. Per 6 persone servono: 700 gr. di manzo “cappello da prete”, 200 gr. di parmigiano reggiano 36 o 40 mesi e 100 gr. di pane di pasta dura leggermente raffermo, entrambi grattuggiati, 2 uova. Per le dosi della ricetta calcoliamo, come d’abitudine, 6 persone. Se siete in più, aumentate le dosi in proporzione. Se siete in meno, mantenete la quota 6, perché gli anolini sono buonissimi e, una volta congelati, possono servire per una seconda cena magari all’Epifania. Oppure, sistemati su un bel vassoio, diventano un prezioso regalo di Natale. Io, lavorare per lavorare, non ne faccio mai meno di 400.

La base del ripieno è lo stracotto. Steccate il “cappello da prete” con cubetti di lardo o pancetta dolce, fatelo rosolare a fuoco basso in olio e burro insieme a una piccola cipolla tagliata a fette sottili. Giratelo spesso e quando ha preso colore da tutte le parti copritelo con brodo di carne caldo (io uso il solito Star) in cui avrete sciolto un cucchiaio di concentrato di pomodoro e mezzo bicchiere di vino rosso robusto (ideale è il lambrusco secco). Salate poco, pepate e aggiungete un pezzo di sedano, una carota a tocchetti, una scheggia di cannella, tre o quattro chiodi di garofano e un po’ di noce moscata. Coprite e lasciate bollire pianissimo (si dice “pipare”) per almeno 20 ore. Praticamente tre giorni.

A cottura terminata togliete la carne, strizzatela bene per raccogliere tutto il sugo possibile e poi fatene quello che volete, magari polpette. Il sugo, invece, ristretto e saporitissimo, va filtrato con lo schiacciapate moulinette e messo in una terrina abbastanza grande. Aggiungete il parmigiano e il pane grattuggiati (il pane va passato un paio di minuti in forno caldo per una leggerissima tostatura), le uova e una bella grattata di noce moscata. A questo punto dovete regolarvi da soli: se il ripieno è troppo molle aggiungete altro formaggio o altro pane. Coprite la terrina e mettetela in frigorifero a riposare per un giorno. O per tutta una notte. Dipende a che ora vi metterete al lavoro.

Fase 2. La pasta sfoglia. Servono: 600 gr. di farina bianca tipo 00, 6 uova intere, un pizzico di sale e, soprattutto, un tavolo grande. Mettete la farina a fontana sul tagliere, unite le uova e il sale e sbattete con una forchetta per amalgamare uova e farina. Impastate bene e fate una palla che avvolgerete in un tovagliolo umido o nella pellicola. Staccate un pezzo di pasta per volta e iniziate a stenderla fino a 1 o 2 millimetri. Col matterello se volete o, più praticamente, con la macchina per la pasta, elettrica o a mano. Stendetela a strisce e distribuite il ripieno in mucchietti grandi più o meno come una nocciola. Rivoltate la pasta sul ripieno, schiacciatela tra un mucchietto e l’altro e ritagliate l’anolino con uno stampino rotondo, liscio e non ondulato. Tenete presente che l’anolino deve misurare circa 3 centimetri di diametro. Dopo che l’avrete ritagliato, schiacciatene bene i bordi con le dita per evitare che si apra durante la cottura.

Fase 3. Le regole. La prima regola da sapere è che ogni famiglia ha le sue. L’anolino è fonte di discussioni accese e di informazioni variegate. Quindi è difficile che troviate una ricetta uguale all’altra e, soprattutto, avrete notato come, anche sulla quantità degli ingredienti, si è piuttosto vaghi. Questo perché, come spesso accade nei piatti di famiglia, mamme e nonne “andavano a occhio”. Rigorosa, invece, la qualità: parmigiano stravecchio di 36 o 40 mesi, pane di pasta dura, noce moscata e assolutamente niente carne nel ripieno (ma, anche qui, c’è qualcuno che ha ormai ceduto le armi). Per tradizione, lo stracotto veniva cucinato in un tegame di coccio, coperto con carta paglia e una fondina nella quale veniva versato del vino rosso. Evidentemente, perché un tempo le fondine non erano smaltate e con il calore lasciavano filtrare il vino nella pentola. Quindi io, il vino, lo metto direttamente nel brodo, però continuo a usare il tegame di coccio e verso del vino nel coperchio rovesciato: non verrà filtrato, ma in compenso accompagna la lunga cottura con un buon profumino che si spande nell’aria. Altre regole sono: l’anolino ha i bordi assolutamente lisci senza quelle leziose ondulazioni da fiorellino; il brodo di manzo e cappone va tenuto al freddo un’intera notte per poterlo sgrassare, almeno in parte, perché non prevarichi il sapore degli anolini; se si ha il tempo e la voglia di farli appena uno o due giorni prima della festa, non lasciare asciugare gli anolini in una camera troppo calda, piuttosto aprite la finestra e chiudete la porta per non raggelare la casa intera.

Poi c’è la regola caudina, quella dell’approvazione, che dimostra quanto mettersi a fare gli anolini sia davvero un’avventura. Gli anolini cuociono in 5-6 minuti, ma per essere ben sicuri di non mandare all’aria tanto lavoro, prima si fa cuocere un solo anolino in un pentolino con un po’ di brodo. A cottura ultimata, lo si fa assaggiare a chi è seduto a capotavola (si suppone, secondo un antico retaggio contadino, il capofamiglia, che conosce la tradizione) e si attende il suo verdetto. Che arriva, dopo un attento assaggio, con una serie di dotte e quasi sempre benevole osservazioni su sapore- cottura-ingredienti e come sono riusciti quest’anno rispetto al Natale passato e che, certo, se ci fosse un po’ più di noce moscata…Bontà sua, gli anolini sono comunque eccezionali e il Natale è la festa della pace e dell’amore.

2 Responses to Gli Anolini di Natale
  1. mi è venuto l’acquolina in bocca , proverò…….


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