Perché proprio l’Orissa?
Ho girato l’India in lungo e in largo, eppure ho sempre esitato ad affrontare l’Orissa, lo stato affacciato sul golfo del Bengala, lungo la costa centro orientale del subcontinente. Un’India primitiva e poco conosciuta, dove le tribù praticano antichi culti animisti e coltivano la terra in maniera arcaica.
A farmi decidere quest’anno è stato l’acquisto di un ritratto in una galleria di Calcutta un paio di anni fa. Lo guardo ogni giorno, appeso in sala a Milano. Rappresenta una donna in mezzo a una foresta, il collo avvolto da collane di metallo, lo sguardo sciamanico. Un’immagine intrigante e misteriosa. Vera o falsa? Turistica o autentica?
La villaggiomane, come vengo definita dagli amici, quest’anno non si arrende. L’Orissa è mia! Oltre a cercare di capire come vivono queste antiche popolazioni autoctone, circa una sessantina, chiamate adivasi, presenti nel territorio da migliaia di anni, mi aspetto di vedere bellissimi templi induisti, diversi da tutti gli altri.
La fortuna gioca dalla mia parte
Ad accompagnarci nel viaggio, è Jitu, uno dei leader dei Dongria Kondh, i clan delle colline di Niyamgiri, una zona coperta di dense foreste, gole profonde e ruscelli impetuosi. Parla bene inglese, grazie a un missionario capitato per caso nel suo villaggio, che ha proposto ai genitori di fargli frequentare la scuola a Bhubhaneshwar, la capitale dello stato.
Jitu è orgoglioso della sua tribù. Per nessuna ragione al mondo vorrebbe trasferirsi altrove. “Essere un Dongria Kondh”, spiega, “vuol dire coltivare il riso nelle fertili vallate, raccoglierne i prodotti, come ananas, jackfruit, mango, papaia dolce, zenzero e arance, ma, soprattutto, venerare il dio della montagna, Niyam Raja. Senza Niyamgiri, la montagna sacra, il nostro dio, non c’è vita per noi”. Il triangolo, simbolo della montagna, compare in tutte le loro espressioni artistiche, come nel ricamo degli scialli eseguiti dalle ragazze prima del matrimonio. Amano ricamare tutte insieme, come ho potuto vedere a Chatikona, sedute all’ombra degli alberi nel giardino della Dongria Karodh development agency.
Un piccolo popolo, che sfida il governo e cerca di resistere alle grandi multinazionali è degno di ammirazione.
In nome della loro montagna sacra, 8000 Dongria, sparsi in 12 villaggi, hanno vinto, nel 2013, un’eroica battaglia contro il gigante minerario Vedanta Resources, che avrebbe voluto estrarre dalle loro colline bauxite per un valore di 2 miliardi di dollari! “Volevano portarci via la nostra anima”, sottolinea Jitu. La compagnia pianificava di aprire una miniera a cielo aperto, che avrebbe interrotto il corso dei fiumi e segnato la fine dei Dongria Kondh come popolo. Nel 2013 la Corte Suprema ha riconosciuto ai Dongria il diritto di decidere se effettuare scavi minerari nella montagna. La loro risposta è stata “NO”.
Jitu ama raccontare la vita del suo villaggio. Sveglia alle cinque del mattino per lavorare nei campi, quando ancora non fa caldo, senza tralasciare una sosta per bere in compagnia il succo di sago, raccolto dalle palme giganti della foresta, una bevanda alcolica che dà energia per le lunghe escursioni nella foresta. “Fa parte delle nostre tradizioni”, spiega. “Basta non esagerare”, aggiunge,”invece del thè, ci beviamo il sago”.
Le abitudini sono piuttosto libere e assai diverse da quelle induiste. “Le ragazze”, racconta Jitu,”dopo i 13 anni dormono con una decina di amiche in una casa costruita per accoglierle, dove, di notte, arrivano a trovarle ragazzi dai villaggi vicini. Si fa amicizia, s’impara a stare insieme, in attesa del matrimonio”. Quanto al matrimonio, la notizia più sorprendente è che la moglie deve essere più vecchia del marito di qualche anno, in modo da poter essere mantenuta dal consorte in tarda età!
Jitu trasmette allegria. Come i Dongria, del resto.
Sulla strada di ritorno verso l’albergo a Semilguda, un suono di tamburi ci attira come la maga Circe. Entriamo nel villaggio di Takirigumma accolti a braccia aperte. Si sta festeggiando un matrimonio. Le donne ballano in cerchio le braccia allacciate sulla schiena. Accolgo l’invito ed eccomi coinvolta nella danza. Corre il sago e tutti si divertono…Un po’ di alcool non fa mai male.
Il mercoledì al mercato di Chatikona
Se una legge del governo vieta di salire nei villaggi sulle colline, è possibile incontrare i Gondria al mercato del mercoledì a Chatikona, frequentatissimo anche da gente che può arrivare fin qui dai paesi vicini con il treno. Gli amici di Jitu scendono dalla collina in bicicletta o in piccole jeep stracariche di gente e di prodotti da vendere. C’è una grande animazione intorno. Le donne sfoggiano un fiore colorato nei capelli, arrotololati intorno a una specie di tubo di stoffa e impreziositi da tante mollette. Ricordano un po’ le pettinature dei nostri anni ’30. Immancabili le collane al collo, molti orecchini e tre anelli al naso, mentre i ragazzi ne portano solo un paio. In testa il cestino in bambù, dove riporre gli acquisti. Intorno al corpo, un semplice sari in cotone tessuto a mano con un bordo colorato. Mi piace molto, tanto che ne compro un paio per farne camicie per l’estate.
Nei villaggi in pianura è invece permesso entrare. In uno si intessono cestini, in un altro si lavora al tornio…In nostro onore i ragazzi suonano il tamburo, i bambini ballano felici, le donne stanno all’ombra dei tetti di paglia, penzolanti fino a terra, quasi a formare una veranda, mentre lungo l’immancabile corso d’acqua le mamme lavano i bambini.
Finalmente l’incontro ravvicinato con la tribù della donna immortalata nel quadro di casa. Business is business….
Sono i Bonda, più taciturni e severi dei Dongria, bassissimi di statura, conosciuti come il popolo nudo. Quando li si vede la prima volta al mercato di Onkadelli, il giovedì, si resta stupefatti. Secondo una leggenda Sita, moglie di Rama, il dio creatore, offesa perché derisa da alcune donne Bonda, mentre fa il bagno nel fiume, le condanna al taglio di capelli e ad andare in giro praticamente nude. Per questo le donne Bonda hanno il capo rasato, coperto da perline e il corpo vestito da infinite lunghe collane di perline gialle e arancio. Quanto ai cerchi in metallo intorno al collo, Jitu ci spiega che servono a proteggerle dall’assalto degli animali della foresta. Sfido chiunque a non scattare foto. Colori e visi sono indimenticabili. Non mi sorprendo se chiedono di essere pagate in cambio delle foto. In fondo, potrei anche guadagnarci e venderle…Business is business.
Un pique nique tra i gialli fiori della senape
Inaspettato e piacevolissimo. Scavalchiamo una steccionata di legno ed eccoci tra i campi coltivati a riso, cavolfiori e piselli di Giuneipada. Ci guardiamo intorno. Le donne lavorano, gli uomini si dedicano agli animali. Ci sediamo all’ombra di una grande albero con il nostro cestino per il pique nique. Godiamo la pace campestre, il piacere di sentire scorrere l’acqua dei ruscelli..Nessuna multinazionale può arrogarsi il diritto di stabilirsi in questo territorio!
Con questa bucolica visione termina la prima parte di viaggio dedicata agli adivasi. Da qui scendiamo verso la fascia costiera. Un mondo totalmente diverso: è l’India dei templi Indù. Il racconto nella prossima puntata.
Come al solito un articolo curioso interessante e nuovo! Grazie Silvana di questo nuovo regalo che ci hai fatto!
Come al solito un articolo curioso interessante e nuovo! Grazie Silvana di questo nuovo regalo che ci hai fatto!